Il Piano Industriale, come stabilito nel Contratto di Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale, doveva essere presentato entro il mese di marzo 2019. Il cambio di Governo e la nuova maggioranza, col contestuale ricambio dei vertici aziendali, hanno prodotto un allungamento dei termini di presentazione. Proprio partendo da questa evidenza, il peso della politica sulle dinamiche aziendali, e prima di entrare nel merito dei contenuti del Piano Industriale, abbiamo l’esigenza di esprimere alcune considerazioni sulla Governance e sul finanziamento pubblico della RAI, due elementi determinanti per valutare l’autonomia del Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale.

LA GOVERNANCE L’attuale sistema di Governance concentra nelle mani delle forze politiche di maggioranza, ed in particolar modo del Governo, le scelte sull’assetto della RAI. Più volte, nella fase di elaborazione della “riforma della RAI” e della definizione della Concessione di Servizio Pubblico, SLC CGIL ha chiesto che le forze politiche assumessero ruolo distinto e non pervasivo nel rapporto con la RAI. Nel 2016 proponemmo di passare dall’attuale assetto, cioè da un Consiglio di Amministrazione, di fatto, nominato dal Governo ad un modello duale (come in altri paesi europei). Quindi, un Consiglio di Indirizzo costituito da esperti, associazioni e parti sociali ed un Consiglio di Amministrazione nominato solo per titoli con funzioni gestionali. Tutti ragionamenti che sembravano, almeno fino alla costituzione del nuovo Governo, anche patrimonio di alcune forze politiche appartenenti all’attuale maggioranza. Rispetto all’interpretazione che la “politica” tende a dare al concetto di pluralismo, vogliamo ribadire che esso non si può configurare nella rappresentazione percentualistica delle forze politiche, ma deve essere una rappresentazione costante, fedele e plurale della società italiana.

IL FINANZIAMENTO PUBBLICO Altra questione centrale è l’autonomia economica del Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale. La “riforma del canone” del 2014/15, confermata dall’ultima legge finanziaria (2018), stabilisce che una quota di canone non sarà diretta al Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale. Una parte del c.d. “extragettito” continuerà a finanziare l’emittenza radiotelevisiva locale, l’esenzione da canone agli ultrasettantacinquenni con bassi redditi, la fiscalità generale. Questa impostazione, l’aver determinato che il canone non è più imposta di scopo, ma tassa che viene ripartita con la legge finanziaria su più capitoli di spesa, determina una debolezza sistemica della RAI, ne riduce l’autonomia finanziaria, la possibile determinazione degli investimenti a medio/lungo termine, e lo stare sotto la pressione continua della “politica”, con inevitabili effetti sull’autonomia editoriale e informativa del Servizio Pubblico. Continuiamo a ritenere indispensabile che l’intero prelievo dal canone sia destinato alla società a cui è attribuita la Concessione di Servizio Pubblico, non solo perché il Canone è il sostegno pubblico più basso d’Europa, ma anche perché i sistemi di finanziamento dell’editoria piuttosto che dell’emittenza locale, per loro natura, debbono far parte di specifici e chiari capitoli di spesa pubblica.

PIANO INDUSTRIALE Il Piano Industriale 2019/21 parte da una profonda analisi di contesto (mercato, innovazione tecnologica e delle infrastrutture, produzione di contenuti) e poi prova a mettere su carta un progetto di modernizzazione dell’azienda. Nel farlo, va rilevato, non sempre (o almeno non sino in fondo) tiene conto dell’identità di Servizio Pubblico della RAI. Ragionamento che, per alcuni, viene giustificato dal fatto che parte delle entrate dell’azienda provengono dalla raccolta pubblicitaria e dall’attività commerciale. Condividiamo la necessità, come indicato nel Piano Industriale, di dover procedere rapidamente ad investire in tecnologie (streaming, dab+, DVB T2, satellite, studi, mezzi, HD e 4K) ed in personale (nuove assunzioni di nativi digitali e di professionisti del settore), partendo dalla considerazione che negli scorsi anni, per contenere i costi a fronte di minori entrate (pubblicità e commerciali), si è scelto di investire poco (e alle volte male) e ridurre l’organico sotto soglia, cumulando un ritardo che oggi appare difficilmente colmabile. Condividiamo che l’azienda debba passare da un modello verticale (direzioni di rete) ad uno orizzontale definito per contenuti, perché semplifica i processi (riproduzione di costi) e al contempo consente di investire con maggiore oculatezza su prodotti e contenuti. Interessante anche l’idea di cambiamento proposto per le News, ispirato al modello adottato con grande successo dalla BBC: l’utilizzo di tutte le piattaforme in maniera sinergica (web, social, radio, Tv) per portare informazione immediata e approfondimento ad un pubblico sempre più largo e recuperando i giovani. Notevoli alcune specifiche iniziative indicate nel Piano Industriale:  riportare la produzione all’interno, anche avendo attenzione alla specializzazione e saturazione dei Centri di Produzione di Milano, Napoli e Torino;  il rilancio della produzione dei documentari;  gli investimenti nel settore della radiofonia, mezzo di diffusione in crescita ed essenziale nel nuovo modello non lineare del Piano;  la valorizzazione degli archivi storici della Rai;  gli investimenti anche infrastrutturali sulla Direzione Generale di Torino;  il rilancio del centro sperimentale di Torino;  una maggiore attenzione e valorizzazione dell’Orchestra Nazionale della Rai;  l’investimento in infrastrutture e mezzi, con una idea di valorizzazione di alcuni immobili di proprietà della Rai ed altri da acquisire;  la definizione di alcune figure professionali/attività di raccordo tra il processo produttive e quello ideativo o tra Rai e società esterne di produzione, provando a recuperare un dialettica funzionale e l’indirizzo nella gestione del prodotto.

Alcune nostre considerazioni di merito sui diversi capitoli:

  1. CONTRATTO DI LAVORO Dall’analisi di contesto risulta evidente che chi ha sviluppato il Piano Industriale non ha tenuto conto di quanto definito nel contratto di lavoro dei 10.000 dipendenti (operai, impiegati e quadri). In particolare non sono state analizzate alcune innovazione sotto il profilo professionale e produttivo, oggetto dell’ultima rinnovazione contrattuale. Questioni dirimenti per la modernizzazione del sistema produttivo e ideativo. Non si identifica nella valutazione economica del triennio l’effetto del prossimo rinnovo contrattuale.
  2. ORGANICO E PROFESSIONALITA’ Sulla questione dell’organico si sono siglati accordi che dovrebbero portare ad un ritrovato equilibrio produttivo ed ideativo, purtroppo però nel Piano Industriale questa questione è solo sfiorata (si parla solo della necessità di inserire figure senior), non si entra nel merito del complesso sistema produttivo

e ideativo dell’azienda, della sua diffusione sul territorio, delle nuove attività che anche se codificate nel rinnovo del contratto non hanno ancora una risposta operativa da parte delle diverse direzioni (soprattutto area web). Per noi va pianificato un inserimento mirato delle nuove figure professionali e delle figure altamente specializzate, operazione indispensabile dopo l’esodo incentivato del 2018. Vanno ripianate le carenze di organico soprattutto in area produttiva (centri di produzione e sedi regionali), e può essere fatto guardando alle nuove competenze ed allo sviluppo di tutte le piattaforme di diffusione. L’introduzione di personale deve essere anche finalizzato alla riduzione su tutto il territorio nazionale di appalti di ripresa e montaggio, elemento che ha un valore economico ingente sui costi di produzione. È anche necessario pianificare con coerenza i progetti formativi, guardare con attenzione alle nuove tecnologie ed incrementare la formazione su tutto il territorio nazionale. Non ci convince il progetto di automazione dell’area news e la creazione del giornalista digitale, non perché pensiamo di poter arrestare processi di innovazione tecnologica che inevitabilmente riducono l’impegno di personale e dovrebbero migliorare gli standard qualitativi, però la complessità delle attività, il presidio territoriale ed al contempo il costo della trasformazione tecnologica e l’indispensabile formazione, ci fanno apparire almeno superficiale l’analisi prodotta ed il ridimensionamento delle squadre in tempi brevi.

  1. NUOVO ASSETTO Rispetto alla creazione delle nuove direzioni, esprimiamo preoccupazione per il possibile aumento di costi e per la sovrapposizione di attività; già oggi la RAI è ingessata da un sistema burocratico costituito da più di 50 direzioni che con sempre maggiore difficoltà riescono a realizzare sinergie ed a rispondere organizzativamente e gestionalmente nei tempi dei diretti concorrenti. Centralizzare le attività di ideazione certamente riduce i costi di produzione e ottimizza la creazione dei palinsesti, ma dall’altra parte rischia di omogeneizzare contenuti e prodotti, in tal senso diviene determinate la scelta di professionisti che abbiano i titoli (professionalità, indipendenza, onestà) necessari per rispondere con coerenza ed efficacia alle prerogative proprie del Servizio Pubblico. La riconfigurazione dei canali ci sembra un processo naturale, è evidente a tutti che alcuni non hanno un positivo risultato in ascolti, poi si può ragionare se questo sia legato alla scarsa profilazione o alla scarsa pianificazione della programmazione. Ci auguriamo però che questa operazione non penalizzi la programmazione di film (quindi il cinema) e non inserisca elementi di eccessiva profilazione di genere rischiando di far perdere la sua azione inclusiva e di promozione e divulgazione di contenuti culturali e sociali, piegandola RAI ad esigenze di carattere commerciale.
  2. INFORMAZIONE L’informazione viene affrontata da una parte del Piano Industriale come strumento essenziale, non solo per le sue finalità di pubblico servizio, ma anche perché veicolo fondamentale per concorrere sul mercato e attrarre il pubblico giovane. In quest’ottica si guarda al “modello” che ha permesso alla BBC di essere la PSM più autorevole e vincente sul web (social e sito), purtroppo però questa positiva visione di trasformazione sembra infrangersi contro la conservazione del modello verticale delle testate giornalistiche, probabilmente per rispondere all’esigenza (neanche troppo celata) di dover contemperare le posizioni delle diverse forze politiche che sostengono il Governo. Forte la perplessità sul “secondo passaggio”, il sistema di interazione nella Newsroom Unificata con il Tg1, Tg2 e Tg3, operazione che dovrebbe avvenire oltretutto successivamente alla scadenza dell’attuale Consiglio di Amministrazione (2022/23). Si può dire, anche tenendo conto del cambiamento generalizzato nella fruizione delle news, che per attuare a pieno le prerogative del Servizio Pubblico risulta indispensabile essere immediati sulla notizia, ma anche avere la capacita di leggere la società in profondità realizzando un prodotto di

qualità su tutto il territorio nazionale. In questo senso, le molte piattaforme di diffusione a disposizione accompagnano e agevolano la scelta del mezzo di diffusione più idoneo all’approfondimento piuttosto che all’immediatezza della notizia. Rimane un dubbio sul modello informativo, non solo in Rai, che sempre più si affida per le notizie ad agenzie, fonti più o meno istituzionali e qualche volta ai social, spesso purtroppo senza una verifica diretta dei fatti. Continuiamo a pensare che il giornalismo, soprattutto quello del Servizio Pubblico, debba essere svolto raccogliendo le informazioni direttamente e nei luoghi in cui si realizzano i fatti, ma è chiaro che per poter far questo c’è un impegno economico che il Servizio Pubblico si deve assumere.

  1. IMMOBILI Concordiamo con l’esigenza di procedere ad un “ammodernamento” degli immobili, realizzabile anche attraverso la vendita e l’acquisto di strutture idonee alle attività definite sul territorio, vorremmo però si evitasse di utilizzare il patrimonio immobiliare per sopperire alle spese correnti. Abbiamo già visto grandi aziende fare cassa con gli immobili per poi dover pagare affitti milionari, in tal senso ci preoccupa l’idea di creare una società ad hoc a cui attribuire la proprietà degli immobili.
  2. CENTRI DI PRODUZIONE Bisogna dotare tutti e quattro i centri di produzione e le due direzioni generali dei mezzi, degli strumenti di lavoro e degli studi idonei ad operare con la massima qualità su tutte le piattaforme e per tutte le attività previste. Stessa cosa vale per l’inserimento di nuovo personale e per la programmazione della formazione professionale. Ci convince la specializzazione di alcune di queste importanti realtà territoriali e produttive e la volontà di procedere con una parziale redistribuzione delle attività tra diversi centri, al fine di dare valore all’insieme dell’azienda ed evitare il continuo ricorso ad appalti nelle realtà sature. La RAI dovrebbe ricominciare a fissare i luoghi delle produzioni sulla base delle proprie prerogative e caratteristiche produttive, senza che soggetti esterni (case di produzione, artisti e agenti) possano porre veti sulla collocazione della prestazione. Rimane poco spiegabile come nei centri di produzione di Torino, Milano e Napoli a fronte di un numero di risorse e attività importanti siano presenti pochissimi dirigenti. Questo segnale va invertito, se la scelta presente nel Piano Industriale è quella di investire su tutto il territorio nazionale, figure apicali e direzioni debbono essere presenti su quelle realtà territoriali in maniera strutturale.
  3. SEDI REGIONALI Sulle sedi regionali nel Piano Industriale c’è veramente poco rispetto al loro valore industriale, culturale e sociale. Il Piano non configura un salto qualitativo dal punto di vista editoriale. Rimane attività preminente (se non unica) quella della realizzazione delle news, senza peraltro chiarire quali reali sinergie si metteranno in campo con la Newsroom Unica (Rai News, Televideo e web). Non ci sono reali elementi di valorizzazione della dislocazione territoriale, caratteristica unica nel panorama nazionale delle emittenti, manca l’approfondimento e la rappresentazione delle realtà locali, non si chiarisce come rimettere in moto la macchina produttiva recuperando all’interno attività pregiate (ad es. lo sport) che oggi vengono svolte in appalto. Si dice qualcosa di più sui centri di produzione decentrati, in linea con i compiti previsti dalla normativa e le possibili convenzioni, però anche qui poco o nulla sul versante editoriale e produttivo. Le convenzioni con regioni e province non debbono divenire strumento di disuguaglianza produttiva ed ideativa tra realtà territoriali; la capacità di raccontare le realtà territoriali deve trovare un unico modello produttivo ed ideativo. La RAI deve includere e rappresentare l’insieme, mai chiudersi alle singole istanze territoriali.
  4. COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI ed ENTRATE PUBBLICITARIE Su questo capitolo, in parte, potrebbe produrre effetti positivi l’operazione tracciata per la ridefinizione delle direzioni e la pianificazione dei palinsesti (profilazione degli utenti e maggiore coerenza nella programmazione). Se questo impianto sarà portato a compimento si potrà avere un effetto positivo sulla raccolta pubblicitaria e sulle entrate commerciali, senza dimenticare però che è dal 2008 che questi “settori” (Rai Pubblicità e Rai Com.) vivono un calo di entrate peggiore dell’andamento di mercato. Riteniamo anche indispensabile una riorganizzazione sinergica tra RAI e Rai Pubblicità. Come per molta parte dell’azienda, anche in questo ambito strategico, si registra una scarsa condivisione dei processi necessari al pieno sfruttamento degli spazi pubblicitari e dei prodotti. L’avvio di un merchandising legato ai prodotti realizzati internamente a RAI, così come indicato nel Piano, è un elemento di novità positivo, anche se per la sua realizzazione non è chiaro chi lo gestirà (RAI, Rai Pubblicità o Rai Com.) e si dovrebbero, comunque, avviare investimenti corposi sulla ideazione e la produzione interna di contenuti. Non c’è molto sull’attività commerciale e la distribuzione di prodotti. Non è chiaro dal Piano Industriale come si ridefiniranno i perimetri di attività di Rai Com, Rai Cinema, Rai Fiction, direzioni e società del Gruppo Rai che negli anni con difficoltà hanno lavorato in maniera sinergica e con risultati non omogenei sui prodotti commercializzati. Rai Com, inoltre, se gli fosse attribuita la realizzazione del canale in lingua inglese perderebbe ancora di più identità e autonomia operativa e gestionale. Nonostante Rai Com soffra per la riduzione delle entrate per i diritti del calcio, rimane in equilibrio economico grazie alle altre attività di commercializzazione dei prodotti, ma evidentemente anche grazie ai benefici di alcune convenzioni pubbliche che hanno veramente poco a che fare con la parte commerciale dell’attività del gruppo. Risorse che dovrebbero invece essere computate a quelle direzioni che hanno il compito di gestire le realtà “produttive” oggetto di convenzione. Siamo invece preoccupati per l’assenza di un progetto chiaro sul settore degli abbonamenti. Nonostante la riforma del prelievo da canone, dopo quattro anni, l’azienda non ha ancora sviluppato una riorganizzazione complessiva del settore e delle attività. Al “supporto” per il prelievo del canone ordinario effettuato dalle società di distribuzione dell’elettricità e all’agenzia delle entrate, si aggiunge l’attività del canone speciale. Proprio sul Canone Speciale, dal nostro punto di vista, manca un piano strutturale del recupero dell’evasione, nonostante sia elevatissima da sempre. Sarebbe necessario implementare l’organico, renderlo omogeneo sul territorio e ricostituire la figura dell’ispettore, al fine di recuperare risorse indispensabili per il futuro dell’azienda.
  5. RAI WAY Sulla società che ha la proprietà della rete broadcast il Piano dice poco, manca una idea chiara di sistema. Ad eccezione della notizia sul recente accordo con Openfiber non riscontriamo sul Piano strategie chiare di carattere commerciale ed industriale. Non si fa cenno a progetti e investimenti strutturali al di là di quanto previsto dalla normativa per la realizzazione del DVB T2 e della cessione della banda 700hz. Come già esplicitato durante il confronto nella fase di elaborazione della Concessione di Servizio Pubblico ed il Contratto di Servizio, rimaniamo dubbiosi sulla reale possibilità di assolvere il compito della copertura del 100% della popolazione sul mux 1. C’è anche da dire che la preoccupazione sull’assetto futuro di Rai Way è soprattutto figlia dell’indeterminatezza del suo profilo, controllata al 65,073% da Rai, quindi pubblica, ma al contempo società collocata in borsa.

Il legislatore ed i ministeri competenti non hanno definito con chiarezza, nonostante i molti interventi normativi degli ultimi anni, le finalità della società a controllo pubblico, lasciando Rai Way in una indeterminatezza che purtroppo ritroviamo nel Piano Industriale. Il problema è che il cambiamento tecnologico e la concorrenza forte delle multinazionali, non concedono molto al tempo ed il progetto mai nato della società pubblica delle reti non sembra essere all’ordine del giorno del Governo.

In conclusione i due temi che più pesano sulla realizzazione e sostenibilità del Piano Industriale:

  1. TIMING I tempi con cui si prefigurano le modifiche organizzative, gestionali e operative ci lasciano forti dubbi sulla piena realizzabilità del Piano Industriale. La questione più evidente il completamento della “riforma” delle news prevista per il 2022/23, ma non solo, siamo perplessi anche sulla realizzazione delle nuove direzioni in assenza di una contemporanea riduzione e riorganizzazione gestionale di quelle attualmente in essere. Per un periodo si rischia una sovrapposizione di attività in un quadro che già oggi ci consegna troppi riporti e inefficienze operative e gestionali. La preoccupazione è che i tempi della realizzazione del Piano facciano naufragare quanto di buono vi è contenuto.
  2. RISORSE Ribadendo quanto già affermato sulla norma che regola il Canone (da anni denunciamo la questione), quindi sulla quantità di risorse pubbliche effettivamente a disposizione della RAI, esprimiamo forti dubbi sull’elaborazione dei dati economici effettuata nel Piano Industriale. Le risorse dedicate allo sviluppo nel triennio sono circa 360 milioni di cui poco più della metà (200 milioni) per sviluppo tecnologico. Di queste risorse, circa un terzo è previsto siano reperite attraverso risparmi aziendali (130 milioni) ed aumento di ricavi (inferiori a 100 milioni di euro). Guardando le tabelle presenti nel Piano Industriale appare chiaro che la tenuta economica, vista la dinamica bloccata del canone, si fonda su un incremento immediato di entrate derivanti da pubblicità ed attività commerciali, tutte previsioni basate sull’ottimismo più che sui dati di mercato e sull’analisi d’andamento degli ultimi anni. Altresì abbiamo forti dubbi sulla capacità di abbattere i costi in maniera così netta (e rapida) senza interventi strutturali sul lavoro e sul sistema produttivo, anche tenendo conto che il costo del lavoro è rimasto stabile negli ultimi anni e che si è in procinto di dover procedere ad un rinnovo del contratto nazionale.

L’azione sui costi esterni, leva già utilizzata negli ultimi anni per compensare la riduzione di entrate da commercializzazione e pubblicità, potrebbe vedere una ulteriore compressione, ma rimane il dubbio su una azione efficace da adottare in tempi così stretti. Non vorremmo certo che la compressione dei costi passasse da appalti realizzati al massimo ribasso con penalizzazione, ancora una volta, dei lavoratori interessati.

In aggiunta bisogna considerare la reale capacità della macchina produttiva ed ideativa nell’internalizzare attività, processo che non si può realizzare dall’oggi al domani e che ha necessità di programmazione, per cui si dovrebbe: – prevedere la revisione dei modelli produttivi; – avviare l’assunzione di personale nativo digitale e altamente professionalizzato; – progetti formativi; – tutte questioni da attuare per poter rimettere in moto una macchina bloccata da anni.

In conclusione, dal nostro punto di vista, le risorse realmente disponibili sono scarse, vista la portata degli interventi necessari, mentre i risparmi sono tutti da verificare.

In questo contesto non possiamo non domandarci quali intenzioni abbia il legislatore, sia in ordine alla qualità del prodotto Radiotelevisivo e Multimediale che deve fornire il Servizio Pubblico, sia rispetto al ruolo che il pubblico deve avere sulla gestione della “rete” (Satellite, fibra, DVB T2, 5G, DAB+) e in questo quadro quale dovrebbe essere la funzione di Rai e Rai Way.

In realtà, un piano di svolta avrebbe ben altre necessità, e dovrebbe riguardare in primo luogo il ruolo dell’azionista, con investimenti certi, adeguati, credibili.

Roma, 21 maggio 2019

La segreteria SLC CGIL

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