Dopo lunghe ed estenuanti lotte sostenute dai sindacati di categoria, con il prezioso supporto delle confederazioni, sono stati effettuati enormi passi avanti contro le delocalizzazioni selvagge ed il dumping nelle attività di call center in outsourcing. Risale all’agosto 2012 l’approvazione della legge 134, in cui è contenuto l’articolo 24 bis che reca misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell’occupazione nelle attività svolte da call center. Una norma tornata di recente agli onori della cronaca per la tutela dei dati personali, ma che contiene nel comma 7 un passaggio fondamentale per i lavoratori a progetto. Sancisce, infatti, che essi, in determinate condizioni, debbano essere assoggettati a un contratto nazionale di riferimento. «Ed è proprio qui – afferma Alberto Ligato, coordinatore call center Sil Cgil Calabria – che nasce la materia del contendere. Da una parte abbiamo Assocontact e Asstel (che rappresentano i più grossi outsourcer di servizi di call center) e i sindacati di categoria Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil che firmano un protocollo di intesa per assorbire gradualmente i lavoratori a progetto nel Ccnl delle Telecomunicazioni e dall’altra Assocall (associazione nata nell’aprile 2013) ed Ugl Terziario che firmano un contratto da più parti definito pirata». «Nel primo – spiega Ligato – si equipara con diversi step un lavoratore a progetto ad un dipendente al secondo livello del Ccnl delle Telecomunicazioni, nel secondo invece viene sancito che i lavoratori a progetto devono avere un contratto a parte da cui deriva un potere negoziale praticamente nullo. Trattandosi di lavoratori con contratti non stabili vengono definite delle paghe orarie base al di sotto dei redditi minimi di sussistenza, legandoli oltretutto a produttività e presenza.Tutto questo non fa altro che creare disparità tra lavoratori dello stesso settore e dumping tra le aziende che partecipano alle stesse gare d’appalto ma con costi del personale (che in questo settore rappresentano circa l’80% del costo complessivo) totalmente differenti.
Ciò destabilizza il mercato del settore, in quanto le aziende più grosse e strutturate, che tentano di offrire condizioni economiche e di lavoro migliori ai propri collaboratori, stanno gradualmente perdendo gli appalti in favore di quelle aziende più piccole che il più delle volte applicano una schiavizzazione della propria forza lavoro». «La politica – dice ancora Ligato – continua a condannare questo modus operandi. Infatti nei giorni scorsi che il presidente della commissione lavoro della camera dei deputati Cesare Damiano chiesto all’Ugl chiarezza sui contratti pirata che firma e che hanno condizioni salariali la metà di quelle previste dagli accordi siglati dalle confederazioni, altrimenti non verranno più convocati alla Camera, specificando che l’Ugl firma accordi contrattuali che non rispettano gli standard mantenuti dai contratti collettivi e permettono ai datori di lavoro, che applicano quegli accordi, di pagare meno i lavoratori oltre ad altre riduzioni di tutele che, invece, i contratti nazionali siglati da Cgil, Cisl e Uil prevedono». «Ma nel concreto non si riesce a portare a casa una norma che tuteli questo pezzo di Italia (40.000 lavoratori di cui l’80% nel sud, oltre 5000 in Calabria). Come Slc Cgil- conclude Ligato – non siamo disposti a tollerare oltre l’immobilismo che stiamo riscontrando, abbiamo già proceduto nel tempo a denunciare agli enti preposti tutte quelle aziende che applicano pricing al di sotto del costo del lavoro, ma ad oggi non abbiamo ancor visto i giusti riscontri. Rilanceremo con gran forza la nostra denuncia contro quelle aziende che applicando contratti “pirata”, o non rispettando i contratti in essere, non solo generano precarietà e sfruttamento, ma mettono a rischio il lavoro in quelle aziende ove i contratti vengono rispettati. Le circolari governative inviate agli enti territoriali preposti pare non abbiano sortito alcun effetto sanzionatorio, pertanto in assenza di un chiaro intervento regolatore, proveremo noi a rilanciare con una azione di protesta e di denuncia forte, con l’obiettivo che gli effetti sanzionatori su chi non rispetta i contratti o applica contratti privati possano favorire la regolamentazione il settore dei call center in outbound».

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