Nel terzo congresso della Cgil tenutosi a Napoli alla fine del 1952 Giuseppe Di Vittorio lanciò l’idea di uno Statuto dei diritti dei lavoratori. Di una legge cioè in grado di garantire libertà e dignità alle persone nei luoghi di quel lavoro indicato nell’art.1 della Costituzione.

Nel congresso precedente, a Genova, nell’autunno del 1949, Di Vittorio aveva proposto “Il piano del lavoro”, l’insieme cioè di azioni e di interventi necessari per la ripresa dell’economia nazionale dopo il dissesto provocato dalla seconda guerra mondiale. Il testo della proposta di Piano per il lavoro venne rifinito all’inizio del 1950 nella Conferenza economica nazionale tenutasi a Roma.

La Cgil e il suo segretario avevano ben chiaro che una politica economica efficace ed espansiva aveva bisogno di risorse, progetti e partecipazione. La partecipazione dei lavoratori era possibile solo riconoscendo loro reddito adeguato e ancor prima fondamentali diritti individuali e collettivi nei luoghi di lavoro. Da qui l’esigenza dello Statuto.

La legge sollecitata da Di Vittorio prenderà corpo solo dopo un lungo periodo, nel maggio del 1970. Negli anni intercorsi l’economia era tornata a crescere ma nel mondo del lavoro i conflitti esplodevano in continuazione sia per le cattive condizioni di lavoro, in particolare in agricoltura e nell’industria, sia per i frequenti atti di discriminazione ai quali venivano sottoposti le donne e gli uomini che lavoravano da parte delle imprese.

In questi 50 anni gli effetti dello Statuto sono stati importantissimi, ha garantito dignità a lavoratori e lavoratrici, ha consentito a governi e parti sociali di affrontare crisi fortissime come quelle dei primi anni novanta e della fine del primo decennio del duemila senza che si producessero danni rilevanti alle persone o che nascessero conflitti distruttivi.

La legge 20 maggio 1970, n. 300 – meglio conosciuta come statuto dei lavoratori – è una delle normative principali della Repubblica Italiana in tema di diritto del lavoro.

Introdusse importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro, i lavoratori con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori integrazioni e modifiche, l’ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia.

Il testo dello Statuto dei lavoratori contiene norme relative a numerose previsioni specifiche, su alcune delle quali si sofferma in modo dettagliato. Si divide in un titolo dedicato al rispetto della dignità del lavoratore, in due titoli dedicati alla libertà ed all’attività sindacali, in un titolo sul collocamento ed in uno sulle disposizioni transitorie.

Lo Statuto sancisce, in primo luogo, la libertà di opinione del lavoratore (art.1), che non può quindi essere oggetto di trattamento differenziato in dipendenza da sue opinioni politiche o religiose e che, per un successivo verso, non può essere indagato per queste nemmeno in fase di selezione per l’assunzione. Questi passi trovano una loro spiegazione di migliore evidenza segnalando che, nel dopoguerra, si verificarono numerosi casi di licenziamento di operai che conducevano attività politica o che, anche indirettamente, si rivelavano militanti di forze politiche o sindacali non gradite alle aziende.

L’attività lavorativa, l’apporto operativo del lavoratore, è poi svincolata da alcune forme di controllo che la norma giudica improprie e che portano lo Statuto a formulare specifici divieti quali, ad esempio:

  • divieto, per il datore di retribuzione, di assegnare le guardie giurate al controllo dell’attività lavorativa dei lavoratori (secondo l’art.2 tale figura può esercitare esclusivamente la vigilanza sul patrimonio aziendale)
  • divieto d’uso di impianti audiovisivi (art.4) e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. La norma è ripresa dal Codice Privacy che impone la gradualità e i principi di necessità, finalità, legittimità e correttezza, proporzionalità e non eccedenza del trattamento, nonché l’obbligo di informativa del lavoratore.

Diverse sentenze dei pretori del lavoro hanno orientato la giurisprudenza ad un’estensione e classificazione più dettagliati degli impianti aziendali utilizzabili per un controllo a distanza del lavoratore. Fra questi rientrano i navigatori satellitari posti nelle auto aziendali o in dotazione ai cellulari di lavoratori che hanno l’obbligo della reperibilità. Anche l’installazione nei database di file di log pubblici consente oggi uno strumento di controllo della produttività del lavoratore. Tali sistemi mostrano in un file di testo, oppure in una tabella di più facile interpretazione, ora e data di tutte le operazioni in visualizzazione e aggiornamento compiute da un utente, mostrando il relativo nome. Talora, sono visibili solamente agli informatici che hanno privilegi di amministratore di sistema e comunque possono essere inviati a quanti richiedono un controllo “personalizzato”. Possono essere interni ad un database oppure del sistema operativo intero, e registrare quindi qualunque operazione un utente faccia nel proprio terminale.

Anche le visite personali di controllo sul lavoratore (si badi bene che ci si riferisce all’art. 6 dello statuto e non all’art.5 che riguarda invece gli accertamenti sanitari), ovvero le perquisizioni all’uscita del turno (principalmente effettuate per verificare che il lavoratore non si sia appropriato di beni prodotti o di altro materiale di proprietà dell’azienda), sono sottoposte a limitazioni di dettagliata rigorosità.

Al fine di limitare inoltre impropri eccessi del datore di retribuzione, eventualmente risultanti in indebite pressioni, sono vietati accertamenti diretti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, delegando agli enti pubblici competenti tali accertamenti (art.5 visita fiscale). Si prevedono poi appositi permessi per motivi di studio per coloro che frequentassero scuole primarie, secondarie, istituti di formazione professionale o anche università. (art.10)

Di particolare interesse, oltre a tutti gli articoli del primo titolo (artt.1-13, riguardanti anche il regime sanzionatorio, gli studenti lavoratori, ecc.), è il regime applicativo dello statuto. Sulla base di quanto disposto dall’art.35 dello statuto e dagli articoli dal 19 al 27 nonché dall’art. 18 (oggetto di tante dispute e lotte), applicati ad aziende con “…sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti…” (ridotti a cinque per le imprese agricole), si afferma la tutela dell’attività sindacale ed il principio reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento.

La disposizione dell’art.36 e quella dell’art.37, che limitava fortemente l’applicazione dell’intero Statuto nel campo dell’impiego pubblico, riducevano in maniera significativa il numero di lavoratori che potevano usufruire delle tutele offerte dalla legge n.300/1970.

Dopo la privatizzazione del diritto del lavoro pubblico in Italia avvenuta negli anni novanta, l’applicabilità della norma fu estesa anche ai dipendenti pubblici italiani.[4

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